Noticias

La formazione.

La formazione.

La formazione permanente – sostegno fondamentale della nostra vita
Fra. Carlos Saltos e sr. Mirjam Gadza
 

  1. Un cambio epocale
La nostra società sta cambiando così in fretta, che non si trova un nome adatto per definirla: post-moderna, post-secolare, post-globalizzata, società liquida, globalizzata, ecc. Si tratta, insomma, di un cambio epocale, che suppone un cambiamento nel nostro modo di comprendere la persona umana e le sue relazioni con il mondo, con gli altri, con se stessa e con Dio, e ci porta a un nuovo paradigma. Perfino la nostra società oggi viene definita come post-cristiana, fatto che ci deve fare riflettere sul nostro modo di vivere la fede cristiana. Infatti, la Chiesa e la Vita Consacrata si trovano immerse in questo processo, perché «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore»[1].
A livello antropologico, nessuna epoca ha avuto, come l’attuale, nozioni così numerose e svariate sull’uomo.  Nessuna epoca è riuscita a presentare il suo sapere intorno all’uomo in modo così efficace ed affascinante. È anche vero, però, che nessuna epoca ha saputo meno della nostra che cosa sia l’uomo. Infatti, oggi si parla di post-umanesimo e transumanesimo, per indicare che l’idea di essere umano a cui eravamo abituati, sta cambiando. Di fronte a questa situazione, il Papa Francisco ha detto: «Sembra che l’uomo a cui la Chiesa si rivolge non riesca più a comprenderli come una volta. La Chiesa è chiamata a confrontarsi con un’enorme sfida antropologica»[2].
Il Magistero della Chiesa ci ricorda continuamente che tante strutture, organizzazioni, metodi di lavoro, stili di vita, criteri formativi, ecc., che gli Istituti di Vita Consacrata venivano portando avanti, oggi non rispondono adeguatamente alle necessità e alle sfide di una società che è cambiata e sta cambiando radicalmente. È cambiato il modo di comprendere la persona umana, perciò, deve cambiare il modo di affrontare la formazione. Se noi vogliamo continuare a formare i ragazzi e le ragazze che vengono ai nostri conventi utilizzando le stesse metodologie formative che i nostri formatori hanno utilizzato con noi, la nostra formazione fallirà perché parte da presupposti sbagliati.
La formazione permanente non è un processo che riguarda solo la formazione religiosa, ma essa parte già dalla pastorale giovanile vocazionale. L’orientamento vocazionale consiste nell’indicare alle giovani un cammino di fede in chiave vocazionale specifica.
 
 
  1. La pastorale vocazionale e la famiglia
 
E' facile notare come nei sempre più rapidi mutamenti sociali anche la famiglia sta subendo grande trasformazione. Praticamente non c'è più la famiglia nucleo – tradizionale in cui erano chiari e ben precisi ruoli dei suoi membri. Oggi, purtroppo le famiglie sono sempre più formate da coppie non sposate, anche composte da adulti dello stesso sesso e che crescono bambini; da genitori single; infine da conviventi non sposati con o senza figli. E tutto ciò porta a:
 
  • Aumento dei divorzi  
  • Controllo della nascita dei figli – calo delle nascite -
  • Autorità diminuita
  • Aumento delle relazioni fuori del matrimonio -
  • Molti bambini nascono fuori del matrimonio
 
Praticamente è avvenuto un passaggio da:
 
CONIUGI – mariti e mogli a PARTNER numerosi
 
MATERNITA’ a DIRITTO della donna di disporre liberamente del proprio corpo
MATRIMONIO ISTITUZIONALE a AMORE LIBERO – senza alcun obbligo
UNA FAMIGLIA a UNA MOLTITUDINE DI FAMIGLIE
 
Le nuove forme di “famiglia” sono molteplici e comprendono, in misura sempre crescente, coppie di fatto, situazioni monogenitoriali, sposati con il solo rito civile o uniti dal matrimonio concordatario.
 
E' evidente che la famiglia non solo subisce la trasformazione ma si sgretola, anzi è già sgretolata. In questi tipi di famiglia crescono i bambini e i giovani. E che tipo di giovane può uscire da una famiglia così strutturata? Un ragazzo fragile. È questa loro fragilità viene espressa in varie forme.
 
  1. Fragilità dei giovani
 
Nell’attuale società del cambiamento siamo tutti più fragili, soprattutto i giovani, le cui difficoltà sono diverse rispetto a quelle che incontravano le generazioni precedenti. Con la differenza che in passato gli adolescenti e i giovani avevano motivazioni diverse, come diversi erano i punti di riferimento, gli idoli; quelli di oggi sono in balia del consumismo e della società liquido-virtuale.
 
Alcuni segni della fragilità:
 
Ignoranza di sé – i giovani sono fragili perché spesso decidono di sé stessi partendo dalla conoscenza minima di sé, di ciò che sono.
 
Un altro grande segnale della fragilità è l’autosvalutazione: il soggetto è bombardato da idee negative di sé stesso, della sua vita, del suo lavoro e quindi di ogni sfera della propria vita. Questo porta anche ad una bassa autostima che, involontariamente, rende il soggetto ancor più depresso causandogli un vero e proprio malessere.
Disperazione del futuro – (relativismo, complessità) alcuni giovani sono fragili perché non hanno una teoria abbastanza ricca sul futuro e sono inclini a un certo fatalismo. Non dispongono le chiavi interpretative. Molti giovani vivono senza futuro. Subiscono la delusione della generazione precedente. Circa 40 anni fa la fiducia nel futuro era smisurata, oggi accade il contrario, nessuno crede più che risolveremo i problemi del mondo. Non c’è una storia da raccontare su un futuro migliore.
Inettitudine – paura di fallire – è la fragilità di chi non sperimenta mai, che “non sa fare”, non si mette alla prova temendo di fallire. La non conoscenza ed accettazione dei limiti produce una fragilità una sofferenza in più rispetto a quella ontologica, relativa ad essere umano.
Rifflutanza – rimando è la fragilità di chi è privo di audacia, vive di piccole voglie. La difficoltà più grande che incontrano oggi i giovani della generazione Y si manifesta nel momento delle scelte; si nota in essi quasi una paura di prendere decisioni impegnative. Se si osserva il comportamento di numerosi giovani, si avverte la loro mancanza di convinzioni e l’assenza di un progetto di vita che implichi scelte definitive. Questo comportamento spesso è determinato dal fatto che molti giovani sono convinti che le scelte definitive siano un limite alla libertà e pensano perfino che siano impossibili; per questo motivo rinviano le scadenze e vivono nella provvisorietà, non sapendo se potranno portare a compimento quello che hanno iniziato a fare.[3]
  1. Profilo dei giovani
I giovani vivono una cultura sempre più globalizzata, che offre loro inedite possibilità di educazione ed una maggiore qualità di vita, attorno a valori come l’auto-realizzazione, i rapporti immediati e gratificanti, la libertà e la tolleranza.[4]
Per loro il proprio “io” è l'unico spazio entro il quale l'uomo si afferma, e solo in relazione a lui tutte le altre esperienze di vita possono trovare significato e valore. Percepisce norme e regolamenti provenienti dall'esterno come un attacco diretto all'autonomia, alla libertà e alla soggettività.
Vede la libertà come la possibilità di una moltitudine di scelte, ognuna delle quali ha la sua giustificazione.
L'esperienza personale è una misura della realtà, dell'obiettività e della verità. La verità non è una, ma esiste una pluralità di verità. Lui è un nomade moderno che, grazie alle moderne reti di comunicazione, ha accesso in ogni momento a diverse opzioni di vita, politiche, morali, culturali e religiose. I giovani di oggi sono molto flessibili per un moderno sistema pubblicitario che non fa altro che aumentare appetiti, bisogni, desideri.
Consumare è lo stile dell'uomo di oggi, soprattutto dei giovani. Il consumo eccessivo e l'ossessione di possedere sempre nuovi prodotti danno vita all'egocentrismo e all'individualismo. L'individuo è concentrato solo su se stesso e dentro di lui nascono solo nuovi desideri. Non c'è posto per l'ascesi, la moderazione, la piccolezza, la compassione per i poveri.[5]
Presentismo - gli interessi della nuova generazione sono per lo più limitati all’immediato, a ciò che può essere colto senza fatica e che suscita una risonanza emotiva sensibile. Effettivamente, il mondo dei giovani di oggi è caratterizzato dalla dominanza del presente, con un’enorme difficoltà a collocare le scelte personali in una prospettiva temporale di lungo periodo conservando la coerenza. Molti preferiscono rinviare le scelte definitive e ritardare quindi l’ingresso nella vita adulta, con la corrispondente assunzione di impegni definitivi; non si sentono obbligati a compiere scelte fondamentali
La cultura dell’ambiente è sempre più secolare: i valori trascendenti e religiosi sono emarginati e si favorisce un relativismo etico; si considera la religione un affare privato che non deve interferire nelle opzioni quotidiane di vita.
 
Desiderio di sperimentare tutto – droga, alcool
 
Rapporti immediati – comunicazione – Comunicare oggi è facilissimo grazie ai computer, tablet, cellulari. I giovani oggi curano molto i rapporti sociali, grazie ai social – network, Facebook. Amano stare tra di loro, seguono con passione la musica, il ballo, vari tipi di giochi. Oggi il punto del protagonismo non è più l’agorà, ma le piazza virtuali, le community, gli amici del web (centinaia, a volte migliaia) che in qualsiasi momento, o per qualsiasi ragione vengono cancellati dai nostri computer, IPad e IPhone. Il protagonismo dei giovani oggi si snoda lungo le autostrade telematiche dove milioni e milioni di messaggi viaggiano su corsie sempre più affollate. I giovani sono informati su tutto, sulle ultime novità commerciali. Mezzi telematici. Tutto ciò si riflette notevolmente sui loro comportamenti.  I giovani spesso traggono dalla rete sociali o dalla TV la convinzione che emulando certi modelli della società consumistica riescono guadagnare prestigio sociale, soprattutto nella cerchia di amici e compagni di scuola. Purtroppo, questo ragionamento oltre a essere un vantaggio, se non viene controllato, spesso porta ai vari tipi di violenza fisica e psicologica, dei comportamenti devianti, di atti vandalici – addirittura al suicidio.[6]
 
Affettività è un valore importantissimo ma vissuto in modo molto confuso.
Il tema dell'affettività è per loro essenziale nella scala dei valori.  Gli aspetti fondamentali della vita per loro sono: amore, amicizia e famiglia. Sono convinti che senza amore ed affetto non si puo vivere. La vivono in maniera molto confusa: fanno soprattutto molta difficoltà a chiarire il rapporto tra corporeità ed affettività. Le uniscono troppo, per cui non sanno concepire l'affettività disgiunta dalla fisicità e sembra loro strano che si possano vivere affetti profondi senza uso della sessualità. Del resto sono consapevoli di vivere in un mondo nel quale l'eros permea tutti gli ambiti relazionali (basti vedere la pubblicità).
 
– La vita affettiva si riduce spesso nei giovani ad una ricerca di gratificazione immediata e di securizzazione contro le difficoltà della vita sociale (ciò vale sia per l'amicizia che per il rapporto di famiglia), rimanendo povera di un orizzonte progettuale e di un impegno coerente. Non è raro sentire che si è insieme solo «per passare il tempo», per paura della solitudine. Ciò non significa che, ad esempio, sia stata perduta la componente della fedeltà amicale o della stabilità affettiva nel rapporto fra i due sessi: sono moltissimi i giovani che credono ancora nel matrimonio come sbocco della loro esperienza affettiva, ma “il desiderio di un amore che duri tutta la vita oggi è ferito da una serie di fattori – in primo luogo, ad esempio, il fallimento matrimoniale, che lascia nei giovani un senso di precarietà, di sfiducia nella realizzazione di un progetto affettivo. Il ‘per sempre’, legato alla promessa d’amore è visto, quasi come un’utopia.
 
La confusione sessuale – influenzata dalla teoria del gender che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia.
 
  1. La religiosita' dei giovani
 
I giovani sono religiosi, ma la religiosità vivono secondo una chiave soggettiva. La loro espressione religiosa si allontana sempre più dalla religiosità istituzionalizzata: è all'opera la cosiddetta religiosità senza appartenenza. Molti giovani non si riconoscono più nel cristianesimo ecclesiastico, ma nella cosiddetta religiosità diffusa.
 
Tuttavia, va sottolineato che ci sono alcuni giovani che mostrano, non convenientemente e superficialmente, una profonda ricerca di una nuova visione della vita e di orizzonti di senso più profondi nell'interpretazione del destino umano. Questi giovani cercano risposte più profonde e hanno fame di testimonianze visibili di vita nella preghiera, nella contemplazione e nell'incontro vivo con Dio. Incontriamo giovani con un sentimento religioso molto maturo e sensibile (esperienza di fede) che vivono quotidianamente la realtà della grazia, la presenza dello Spirito e l'esigenza della Parola. Questi sono riusciti a preservare l'ecologia dello spirito e si sono aperti alla libertà responsabile, alla disponibilità, al silenzio interiore, alla disponibilità a difendere attivamente in tutti gli ambiti della vita.
 
Oggi i giovani sempre più hanno bisogno di una proposta alta, forte, radicale e concreta. Hanno bisogno di sentirsi dire che Dio li ama, che gli è Padre.
 
 
  1. Le sfide per la vita consacrata
 
Mai come in questi tempi la vita consacrata si è trovata a riflettere sui suoi tempi trovandosi ad affrontare interrogativi e considerazioni che non erano affiorati finora, con così tanta drammaticità, alla sua coscienza: “Avremo ancora un futuro? I nostri istituti sopravvivranno questa ondata di secolarismo imperante? Se continua questa tendenza vocazionale il problema non sarà se avremo futuro, ma più semplicemente quanto tempo ancora abbiamo di vita?[7]
Qui sorgono le sfide per la vita consacrata e sono:
 
  • Rendere la vita consacrata più riconoscibile – significativa – attraente
  • Capire che mondo nel quale la vita consacrata è nata è si è sviluppata non c’è più
  • Cercare di dare nuove risposte – trovare un nuovo linguaggio
 
Occorrono:
  • Nuovi modi nell’annuncio
  • Nuovi stili di presenza
  • Nuovo modo di dire Dio
  • Nuovi obiettivi da perseguire
  • Un nuovo modo di essere persone, e in particolare donne, consacrate

Dopo il Concilio molto si è detto e scritto sulla necessità di adattare la vita religiosa alle nuove circostanze sociali, che è attuale anche nel nostro tempo. Alcuni vedono la vita consacrata disadattata come un ostacolo al netto declino delle nuove vocazioni. La necessità di un adattamento permanente non è discutibile, ma a volte è discutibile la comprensione e l'interpretazione di ciò che intendiamo per processo di adattamento. Non è sempre abbastanza chiaro cosa dovrebbe essere mantenuto e integrato dal "vecchio" e cosa dovrebbe essere scartato.
Spesso l'adattamento della vita religiosa è troppo legato al rinnovamento delle varie forme di azione esterna in cui era riconoscibile un particolare carisma. Se il ritorno al carisma originario è legato esclusivamente al verbo “agire” piuttosto che “essere” è difficile credere che l'originalità del carisma parlerà con un nuovo linguaggio.
Nel processo di adattamento è necessario rispettare il principio della fedeltà quadrupla:
1) fedeltà all'uomo e al nostro tempo
2) fedeltà a Cristo e al Vangelo
3) fedeltà alla Chiesa e alla sua missione
4) fedeltà alla vita religiosa e al carisma della propria istituzione
Se non vengono rispettati questi principi e si cercano deviazioni, invece dell'originalità del carisma saremo pari passi con le tendenze attuali. Invece che la vita religiosa cambia e arricchisce la cultura con i valori evangelici, la cultura modella un nuovo profilo della vita consacrata, irriconoscibile e insignificativa.
 
Non si deve mai perdere di vista che la vita consacrata è fondata su Cristo e che Cristo rimane sempre norma normans.
Madre Fondatrice nel suo insegnamento del 1942 scrive alle sue figlie spirituali:
Prima c'è Dio e la santificazione dell'anima, poi tutto il resto… Prima cresciamo nell'amore di Dio, e poi ci impegniamo in una vita attiva[8].
Lo mette in evidenza anche il papa Benedetto XVI:
Un’autentica ripresa della vita religiosa non si può avere se non cercando di condurre un’esistenza pienamente evangelica, senza nulla anteporre all’unico Amore, ma trovando in Cristo e nella sua parola l’essenza più profonda di ogni carisma del Fondatore o della  Fondatrice.[9]
 
Pensare al significato della vita consacrata è in realtà insistere sulla linea della risposta che Gesù ha dato ai discepoli che si sono avvicinati a lui con la domanda: Maestro, dove abiti? - Venite a vedrete. (Gv 1,38-39) Il nostro problema è che spesso non riusciamo a dare ai nostri contemporanei una risposta così convincente. Non siamo pronti a "svelarci" pur rimanendo un segno. Di cosa dovrebbe essere segno la vita religiosa? Personalizziamo questa domanda: Di che cosa dovrebbe essere segno una figlia della Misericordia? 
Il santo Giovanni Paolo II. Durante nella sua prima visita in Croazia citando il beato Alojzije Stepinac, ha chiamato le persone consacrate „la pupilla dell’occhio “. Tutto si riflette nelle pupille e, quando sono sfocate, è molto difficile ottenere un'immagine chiara. Nel mondo di oggi, in cui le tracce di Dio sono spesso oscurate, la testimonianza delle persone consacrate è urgente e insostituibile.
Nonostante questa situazione non dobbiamo mai perdere la fiducia nel Signore, perché la qualità della vita consacrata non viene misurata con il numero dei membri ma con la fedeltà con quale viviamo la nostra consacrazione. Questo sottolinea anche il santo papa Giovanni Paolo II: Le nuove situazioni di scarsità vanno perciò affrontate con la serenità di chi sa che a ciascuno è richiesto non tanto il successo, quanto l'impegno della fedeltà. Ciò che si deve assolutamente evitare è la vera sconfitta della vita consacrata, che non sta nel declino numerico, ma nel venir meno dell'adesione spirituale al Signore e alla propria vocazione e missione. Perseverando fedelmente in essa, si confessa invece, con grande efficacia anche di fronte al mondo, la propria ferma fiducia nel Signore della storia, nelle cui mani sono i tempi e i destini delle persone, delle istituzioni, dei popoli, e dunque anche le attuazioni storiche dei suoi doni. Le dolorose situazioni di crisi sollecitano le persone consacrate a proclamare con fortezza la fede nella morte e risurrezione di Cristo, per divenire segno visibile del passaggio dalla morte alla vita.[10]
 
  1. Il nostro cammino verso i giovani – pedagogia vocazionale
 
Le vocazioni sono dono di Dio; ma un dono legato anche ai nostri sforzi nel suscitarle e scoprirle. A volte sembra che ci sia più la preoccupazione per la mancanza di vocazioni che un interesse reale per promuoverle.
La premura per le nuove vocazioni stava al cuore della nostra beata Madre Maria di Gesù Crocifisso Petkovic. In una delle sue esortazioni alle sorelle lei scrive:
 
Lavorate per la vostra Congregazione usate tutte le vostre forze, per farla fiorire e crescere. Sforzatevi che si espanda con nuovi rami che fioriranno e porteranno frutti santi, così potrai lavorare in mezzo al mondo, davanti al quale brillerai come stelle. Se vai in giro per il mondo, il profumo della tua anima - attirerà molti a sé stesso. - Non nuocere alla tua cara Congregazione, al contrario, lavora per la tua Congregazione, per fiorire e portare le opere di Dio. Difendi la tua Congregazione in Cristo! Abbi un grande cuore materno. Se non puoi lavorare per lei, allora puoi contribuire molto con le tue preghiere e sacrifici, che nessuno vede tranne il tuo Sposo Divino. - Prima sia Dio, poi la Congregazione! Adora Dio nella Congregazione, ama Dio nella Congregazione. Tutto per Gesù attraverso la sua Congregazione.[11]
È possibile e importante costruire la proposta e l’appello vocazionale, con i dinamismi tipicamente vocazionali. E sono esposti e chiaramente articolati nella nostra Ratio Formationis che non porto qui, ma piuttosto mi soffermo sulle parole che papa Francesco rivolte ai partecipanti al convegno internazionale sul tema: «Pastorale vocazionale e vita consacrata. Orizzonti e speranze». Il santo Padre nel suo discorso ha messo in rilievo le convinzioni e i punti molto significativi per una pastorale vocazionale.
Se desideriamo che una proposta vocazionale a seguire Cristo tocchi il cuore dei giovani e questi si sentano attratti da Cristo e dalla sequela Christi propria della vita consacrata, la pastorale vocazionale deve essere:
Differenziata, in modo da rispondere alle domande che ogni giovane si pone e da offrire a ognuno di loro il necessario per colmare in abbondanza il loro desiderio di ricerca (cfr. Gv 10, 10). Non si può dimenticare che il Signore chiama ciascuno per nome, con la sua storia, e a ciascuno offre e chiede un cammino personale e intrasferibile nella sua risposta vocazionale.
Narrativa. Il giovane vuole vedere «narrato» nella vita concreta di un consacrato il modello da seguire: Gesù Cristo. Solo una proposta di fede vocazionale incarnata può entrare nella vita di un giovane e non il contrario.
Ecclesiale. Una proposta di fede o vocazionale ai giovani si deve fare nella cornice ecclesiale. Questa cornice ecclesiale chiede ai giovani un impegno e una partecipazione alla vita della Chiesa come attori e non come semplici spettatori.
Evangelica e come tale impegnata e responsabile. La proposta di fede, come pure la proposta vocazionale alla vita consacrata, deve partire dal centro di ogni pastorale: Gesù Cristo, così come ci viene presentato nel Vangelo. Non serve evadere, né servono le fughe intimiste o gli impegni meramente sociali. La «pastorale show» o la «pastorale passatempo» sono lontane dalla pastorale vocazionale. Il giovane va posto dinanzi alle esigenze del Vangelo.
Accompagnata. Una cosa è chiara nella pastorale giovanile: è necessario accompagnare i giovani, camminare con loro, ascoltarli, provocarli, scuoterli perché vadano al di là delle comodità in cui si adagiano, risvegliare il desiderio, spiegare loro che cosa stanno vivendo, condurli da Gesù, e sempre favorendo la libertà affinché rispondano alla chiamata del Signore in modo libero e responsabile.
Perseverante. Con i giovani bisogna essere perseveranti, seminare e attendere pazientemente che il seme cresca e un giorno possa recare frutto.
Giovanile. Non possiamo trattare i giovani come se non fossero tali. La nostra pastorale giovanile deve essere caratterizzata dalle seguenti note: dinamica, partecipativa, gioiosa, speranzosa, audace, fiduciosa. E sempre piena di Dio, che è ciò di cui ha più bisogno un giovane per colmare il suo giusto anelito di pienezza: piena di Gesù che è l’unico cammino che i giovani devono percorrere, l’unica verità a cui sono chiamati ad aderire, l’unica vita per cui vale la pena dare tutto.
Papa conclude: Che nessuno vi rubi la gioia di seguire Gesù Cristo e il coraggio di proporlo agli altri come la via, la verità e la vita (Gv 14, 6). Spezziamo le nostre paure! È giunto il momento che i giovani sognino e gli anziani profetizzino (cfr. Gioe 2, 28). Alziamoci! «Mettiamoci all’opera» (cfr. Esd 10, 4). I giovani ci aspettano. È ora di metterci in cammino.[12]
 
Ascoltiamo ancora la nostra beata Madre:
Andate e sacrificatevi per le vocazioni, per avere anime che ci aiutino a lavorare. Siate grandi Madri, conquistate anime, e anche se ne ottenete solo una, avete fatto molto, perché lei continuerà a lavorare e a salvare anime dopo la vostra morte.[13]
 
  1. Per vino nuovo, otri nuovi
La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica ha pubblicato un documento nell’anno 2017, dopo la celebrazione dell’Anno della Vita Consacrata, per presentare quali son le sfide ancora aperte che la vita consacrata deve affrontare oggi. Il titolo di questo documento ci offre la chiave di lettura per capire il processo vitale in cui la vita consacrata si trova: Per vino nuovo, otri nuovi. C’è una novità, un vino nuovo, che esige nuove risposte, otri nuovi. Perciò ci lasceremo illuminare da questo documento, che non solo ci invita, ma ci esorta a un cambiamento di mentalità per poter dare una risposta che sia significativa alle sfide odierne che si trovano non solo ad extra ma anche ad intra del nostro Istituto.
A livello formativo, siamo invitati a valutare se gli elementi di mediazione che sono oggi in esercizio nella nostra proposta formativa sono adeguati ad accogliere il vino nuovo che suscita lo Spirito Santo. Al riguardo, è molto significativo il Tema dell’Area Formazione che avete scelto per questo Capitolo: La formazione della Figlia della Misericordia in tutte le dimensioni e in tutte le fasi della vita, perché fa riferimento a una formazione integrale, in tutte le dimensioni, e permanente, in tutte le fasi della vita. Al riguardo anche la beata Maria di Gesù Crocifisso Petkovic nel 1941 scrive:
Care sorelle, perché restare sempre allo stesso livello di conoscenza? Soprattutto una Religiosa che ogni giorno deve educarsi, perfezionarsi e cercare di progredire nell'intelligenza e nella scienza come è scritto di Gesù Cristo stesso che nello stesso tempo «è cresciuto nell'età e nella scienza». No, care sorelle, le Religiose devono progredire nella conoscenza e pratica delle virtù, perfezionandosi per tutta la vita nella conoscenza dello spirito di Cristo e nella vita di perfezione.[14]
 
  1. Una formazione integrale
In relazione con il carattere integrale della formazione, il documento Per vino nuovo, otri nuovi, afferma: «Si constata ancora una scarsa integrazione tra visione teologica e antropologica nella concezione della formazione che non permette di far interagire e dialogare tra loro le due componenti essenziali e indispensabili di un cammino di crescita: la dimensione spirituale e quella umana» (14). Infatti, uno dei pericoli della formazione è che essa non riesca a trasformare la totalità della persona, cioè, la dimensione spirituale e la dimensione umana. Purtroppo, nella storia della spiritualità cristiana è stato molto forte l’influsso della cultura greca che considerava il corpo come la sede delle passioni, della concupiscenza, delle inclinazioni che portano l’essere umano verso il peccato. Gradualmente, la dimensione spirituale, la gnosis, viene considerata superiore, lasciandosi da parte la concezione biblica dell’essere umano, che lo considera una unità. Abbiamo dimenticato una delle verità centrale della nostra fede, cioè, che il Figlio di Dio si ha fatto carne, che è diventato vero uomo.
Questa concezione antropologica che non integra la dimensione spirituale e quella umana, ancora oggi presente, ha delle conseguenze nella formazione. Infatti, lungo la storia, la vita monacale e poi la vita consacrata è stata denominata «vita angelica», in chiaro riferimento alla preeminenza della dimensione spirituale. Oggi, dobbiamo affrontare la sfida di passare da una formazione che si occupa principalmente della dimensione spirituale a una proposta formativa che:
  • Favorisca l’avvio di processi integrali, umani e spirituali.
  • Aiuti a raggiungere una sufficiente maturità affettiva-sessuale che permetta una vera libertà interiore. Tante difficoltà nel vivere i voti hanno le loro radici nella dimensione affettiva.
  • Favorisca il raggiungimento di un equilibrio psichico che permetta di vivere positivamente le relazioni comunitarie.
  • Aiuti ad acquisire l’abito del discernimento.
  • Favorisca la maturazione nell’identità vocazionale della Figlia della Misericordia, centrata totalmente in Dio.
Il Magistero della Chiesa, al esortaci a ricuperare una proposta formativa che sia integrale, ci ricorda che la grazia presuppone la natura; perciò, ha invitato a tutti gli Istituti a redigere una Ratio formationis strutturata secondo quest’ordine: formazione umana, cristiana e carismatica.
È importane farci queste domande: Quale formazione noi offriamo? Le superiori e le formatrici, sono capaci di accompagnare un processo formativo integrale, umano e spirituale? Oggi più che mai occorre non solo affrontare con serietà la formazione delle superiore e delle formatrici, ma anche servirsi degli strumenti che il Magistero della Chiesa ci propone per poter offrire un percorso formativo integrale, come per esempio l’aiuto delle scienze antropologiche, l’accompagnamento spirituale, ecc.
  1. Una formazione che non sia superficiale
Continuando con la nostra riflessione, il documento Per vino nuovo, otri nuovi, dichiara: «Sembra che nonostante tutti gli sforzi e l’impegno profusi nella formazione non si arrivi a toccare il cuore delle persone e a trasformarlo realmente. Si ha l’impressione che la formazione sia più informativa che performativa». E più avanti, afferma: «Va inoltre chiarito il ruolo della formazione iniziale. Essa non può accontentarsi di formare alla docilità e alle sane consuetudini e tradizioni di un gruppo»[15]. Questi paragrafi ci invitano a riflettere se la formazione che noi offriamo riesce a trasformare la dimensione interiore delle formande, oppure solo tocca l’esteriorità.
Infatti, l’obbiettivo della formazione, tanto iniziale come permanente, è quello di trasformare il cuore del consacrato in un cuore innamorato, pieno di Dio, come il cuore di Cristo Gesù. Questo è stato affermato dall’Esortazione apostolica Vita consecrata: «La formazione è dunque partecipazione all'azione del Padre che, mediante lo Spirito, plasma nel cuore dei giovani e delle giovani i sentimenti del Figlio»[16]. Dunque, oggi dobbiamo affrontare la sfida di proporre un itinerario formativo che non si fermi solo all’esteriorità, ma che aiuti alle formande e alle suore a:
  • Entrare in contatto con la propria esperienza personale.
  • Approfondire quali siano le motivazioni reali.
  • Affrontare le problematiche personali spesso inconsapevoli o inconsce.
  • Articolare il vissuto interiore, a riflettere criticamente su di esso.
  • Leggere e capire la propria storia personale e l’azione di Dio in essa.
Dobbiamo domandarci seriamente: Quale formazione noi offriamo? Le superiore e le formatrici, sono capaci di accompagnare un processo formativo integrale che trasformi il cuore delle sorelle, che permetta l’interiorizzazione dei valori evangelici e carismatici?
  1. Curare la qualità dei rapporti fraterni per vivere l’interculturalità
Continuando con la nostra considerazione sulla formazione integrale, il documento Per vino nuovo, otri nuovi, afferma: «Perché una formazione sia efficace è necessario che sia basata su una pedagogia strettamente personale e non si limiti ad una proposta uguale per tutti di valori, di spiritualità, di tempi, di stili e di modi. Siamo di fronte alla sfida di una personalizzazione della formazione […] Esige il contatto del maestro con il discepolo, un camminare fianco a fianco, nella fiducia e nella speranza»[17]. Offrire una formazione personalizzata significa avere conto che ogni persona è unica ma, allo stesso tempo, non può vivere da sola. C’è una tensione tra la vita personale e la vita comunitaria. Perciò, la proposta formativa deve aiutare le suore e le formande a crescere come figlie e come sorelle, senza dimenticare che, sebbene i criteri formativi siano gli stessi per tutte, è necessario offrire percorsi personalizzati secondo il processo umano-spirituale che ognuna porta avanti.
In rapporto con questo, una sfida sarà la di formare all’appartenenza all’Istituto e non solo a una provincia particolare, alla luce di ciò che viene affermato dal Papa Francesco nell’enciclica Evangelii gaudium: «Il tutto è più delle parti. Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi»[18]. Questo fatto ci pone di fronte ad un’altra sfida per la formazione: formare all’interculturalità, cioè, a vivere la profezia dell’unità nella diversità. L’enciclica Fratelli tutti presenta l’immagine del poliedro per fare riferimento a questa sfida que tocca a tutta la società e a tutta la Chiesa, e non solo alla vita consacrata: «Il poliedro ha molte facce, moltissimi lati, ma tutti compongono un’unità ricca di sfumature […] Il poliedro rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda, benché ciò comporti discussioni e diffidenze»[19].
Non perdono le sue attualità le parole che la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica ci rivolgono nel documento Ripartire da Cristo, quando si afferma: «L’interculturalità, le differenze di età e la diversa progettualità caratterizzano sempre di più gli Istituti di vita consacrata. La formazione dovrà educare al dialogo comunitario nella cordialità e nella carità di Cristo, insegnando ad accogliere le diversità come ricchezza e a integrare i diversi modi di vedere e sentire»[20]. Dunque, il «dialogo comunitario» viene presentato come una mediazione eccellente per poter vivere serenamente l’interculturalità, per riuscire ad accogliere le diversità delle nostre sorelle e delle loro culture di provenienza come ricchezza e non solo come un ostacolo. A questo punto dobbiamo riflettere seriamente sulla qualità del dialogo all’interno delle nostre comunità, perché è uno strumento fondamentale per la crescita della vita fraterna.
Che cosa significa dialogare? Significa solo parlare, dire ciò che penso? L’enciclica Fratelli tutti ci offre, più che una definizione, un percorso per raggiungere un dialogo veritiero e profondo: «Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo dialogare»[21]. Vengono utilizzati sette verbi per indicare che il vero dialogo ci mette in un itinerario che ci fa uscire da noi stessi per entrare nel mistero altrui e, allo stesso tempo, ci apre il cuore per accogliere la vita e la storia dei nostri interlocutori. Come si può capire, il vero dialogo esige tempo perché ci sia una vera conoscenza reciproca e una condivisione profonda della vita. Nella realtà di uno Istituto internazionale come il vostro, la conoscenza di una lingua comune perché ci sia questo tipo di dialogo, è fondamentale.
Alla luce di tutto lo esposto, sarà una sfida per la formazione l’aiutare le suore e le formande a che siano capaci di stabilire relazioni autentiche e profonde che favoriscano la fiducia e l’amore reciproco, facendo molta attenzione a contrastare l’individualismo, presente anche all’interno delle nostre comunità, già che esso, «è il virus più difficile da sconfiggere», come afferma l’enciclica Fratelli tutti al numero[22] 105. Nella vita consacrata, la qualità delle relazioni è fondamentale per una sana crescita umana-spirituale. Non per caso l’ultimo documento della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, intitolato Il dono della fedeltà e la gioia della perseveranza, che affronta il problema degli abbandoni all’interno della vita consacrata, afferma: «La dove le relazioni interpersonali si riducono a un formale reciproco rispetto, a incontri funzionali al servizio, ad atti comuni scanditi dall’orologio, si pongono le condizioni del progressivo svuotarsi del senso di fraternità, e non deve meravigliare che il primo abbandono si realizza prendendo le distanze dalla propria comunità»[23].
In rapporto con l’argomento del dialogo all’interno delle nostre comunità, è diventato un’urgenza formare ad un corretto utilizzo del social media, evitando che si trasformino in un «rifugio affettivo» che non permetta lo sviluppo di relazioni profonde e autentiche. Non dobbiamo demonizzare il telefonino, l’internet o la televisione, ma dobbiamo riconoscere che non eravamo preparati per gestire con maturità e libertà interiore tutta l’informazione, le immagini, i video, ecc., che essi portano con sé. Afferma l’enciclica Fratelli tutti: «Ci siamo ingozzati di connessioni e abbiamo perso il gusto della fraternità». E più avanti: «I rapporti digitali, non costruiscono veramente un “noi”, ma solitamente amplificano lo stesso individualismo. La connessione digitale non basta per gettare ponti, non è in grado di unire l’umanità»[24]. Quindi, dobbiamo domandarci seriamente: Quale formazione noi offriamo? Le superiori e le formatrici, sono capaci di accompagnare un processo formativo personalizzato che permetta di accogliere le diversità come ricchezza e consenta di stabilire relazioni autentiche e profonde?
  1. La formazione delle formatrici
Il documento Per vino nuovo, otri nuovi affronta pure la realtà dei responsabili della formazione, particolarmente dei formatori, affermando: «Mancano soggetti con adeguata preparazione per il compito formativo» e «la formazione non si può improvvisare, ma esige una remota e continua preparazione. Senza una solida formazione dei formatori non sarebbe possibile un reale e promettente accompagnamento»[25]. Infatti, nella vita consacrata odierna uno dei problemi più acuti è quello di trovare persone adatte per svolgere il servizio formativo, perciò tanti Istituti tendono a «improvvisare» formatori. Di fronte a questo, la sfida sarà quella di scegliere come formatrici suore che:
  • hanno una sufficiente esperienza e maturità umana e religiosa.
  • hanno una formazione adeguata a svolgere questo compito.
  • avranno il tempo sufficiente per dedicarsi alla formazione.
  • sanno lavorare in equipe, secondo le direttive della Chiesa e dell’Istituto (Chiesa sinodale, comunità formativa, Ratio Formationis).
  • sono convinte del bisogno della formazione permanente.
Sono molto illuminanti le parole che la vostra Madre Fondatrice, Maria di Gesù Crocifisso Petković, rivolse alle superiore del vostro Istituto, parole che possono essere indirizzate anche alle formatrici e a ogni Figlia della Misericordia: «La Superiora della casa sia madre, maestra e medico; deve sapere cosa dare a questa sorella o a quell’altra; deve pensare al cibo dell’anima e del corpo»[26]. Infatti, in queste parole possiamo intravedere alcune caratteristiche molto importanti per svolgere il compito formativo. Possiamo dire che, la formatrice deve essere:
  • madre: perché genera vita tramite l’amore.
  • maestra: si prende cura della dimensione spirituale delle formande.
  • medico: si prende cura della loro dimensione corporale
  • deve sapere cosa dare a questa sorella o a quell’altra: porta avanti una formazione personalizzata.
  • deve pensare al cibo dell’anima e del corpo: accompagna un processo formativo integrale.
 
  1. Un itinerario che non finisce mai
Finalmente, il documento Per vino nuovo, otri nuovi fa riferimento alla formazione permanente, un’altra sfida, forse la più importante, per la vita consacrata: «Siamo tutti convinti che la formazione deve durare tutta la vita. Nondimeno dobbiamo ammettere che non esiste ancora una cultura della formazione permanente. Questa carenza è il frutto di una mentalità parziale e riduttiva riguardo alla formazione permanente»[27]. Uno degli aspetti formativi che trova più difficoltà di essere accettato e incorporato negli Istituti religiosi è quello della formazione permanente. Infatti, nel nostro vocabolario comune utilizziamo la parola «formanda» solo per fare riferimento alle suore che ancora non hanno fatto i voti perpetui, e «casa di formazione», solo alle comunità dove esse abitano. Non esiste una «cultura della formazione permanente», che concepisce ogni suora, lungo tutta la sua vita, in formazione permanente.
Lo scopo della formazione permanente è quello di «plasmare nel cuore i sentimenti del Figlio»[28]. Perciò, occorre differenziare tra le mediazioni che adoperiamo, come per esempio, incontri di formazione, di preghiera, di studio, di aggiornamento, di condivisione, ecc., e la finalità della formazione permanente, che è quella di trasformare la totalità dell'essere umano, amare Dio con tutto il cuore, con tutte le forze. Quindi, occorre una verifica costante che ci aiuti a vedere tanto si le mediazioni utilizzate funzionano, come si l’obbiettivo della formazione permanente, la trasformazione del cuore, si sta raggiungendo oppure no.
Per realizzare la suddetta verifica, è necessario confrontarsi con il Progetto personale e il Progetto comunitario, così come con la bella Ratio Formationis che avete redatto. Essa non solo offre un marco teorico molto approfondito delle caratteristiche della formazione in generale e di ogni tappa formativa in particolare, ma anche presenta dei criteri per valutare il percorso formativo personale e comunitario. Adesso dovete valorizzare, conoscere e utilizzare questo importantissimo documento che vi aiuterà nella cura della formazione iniziale e permanente del vostro Istituto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
SCHEDA PER RIFLESSIONE PERSONALE E COMUNITARIA
1. valutazione delle decisioni del XV. capitolo generale sulla formazione
 
  • Quali sono le fortezze e debolezze della formazione che noi offriamo?
 
 
  1. Piano di formazione
Decisione 11: Rivedere e completare il Piano generale di formazione con l’aiuto di esperti.
Linea d’azione: Presentare a livello congregazionale e provinciale il “Piano di formazione” e prevedere nel triennio l’assimilazione dei contenuti nella vita quotidiana di ogni CFM con delle schede d’animazione comunitaria.
 
  1. Pastorale vocazionale
Decisione 12: Costituire per ogni continente, una equipe per la pastorale vocazionale, formata da rappresentanti di tutte le province cui incarico duri almeno tre anni. Queste Equipe saranno coordinate dalla consigliera generale responsabile della formazione.
      Linee di azione:
  1. Individuare in ogni nazione una sorella per la “pastorale vocazionale”, in sintonia con la cultura e i criteri del luogo e delle chiese locali.
  2. Redigere le linee guida per la pastorale giovanile e vocazionale nelle singole province e delegazioni, sulla base del piano generale di formazione e delle deliberazioni capitolari.
  3. Provvedere che anche le comunità abbiano una animatrice vocazionale, adeguatamente preparata.
  4. Ribadire il principio che ogni comunità ha la responsabilità della pastorale vocazionale, con la testimonianza di un’intensa “vita fraterna” e con la partecipazione di alcune sorelle alle iniziative parrocchiali e diocesane.
  5. Favorire in ogni comunità, l’Adorazione Eucaristica, coinvolgendo le famiglie e gli alunni; con l’obiettivo di suscitare la chiamata alla vita consacrata e al sacerdozio ministeriale.
  6. Redigere le linee guida per la pastorale giovanile e vocazionale nelle singole province e delegazioni, sulla base del piano generale di formazione e delle deliberazioni capitolari.
  1. Formazione iniziale
Decisione 13: Prevedere la costituzione di un noviziato internazionale per continenti (Europa e America Latina).
  1.  formatrici
Decisione 14: Prevedere nel sessennio degli incontri di scambio, di studio e di verifica tra le formatrici su temi specifici e a completamento delle linee progettuali della Congregazione, al fine di attuare il “Piano formativo” approvato.
Linea d’azione: Stabilire tra le formatrici occasioni di esperienze, utilizzando i mezzi telematici e la condivisione di informazioni e di strumenti per il servizio formativo, soprattutto qualificando il sito della Congregazione.
 
  1. Formazione delle Superiore
Decisione 15: Offrire, a livello provinciale, a tutte le Superiore locali competenze e tecniche per l’animazione comunitaria.
Linea d’azione: Organizzare corsi teorici e laboratori applicativi al fine di poter avere uno scambio di servizio secondo la nostra legislazione.
  1. Lingua italiana
Decisione 16: La lingua ufficiale della congregazione è l’italiano, per favorire la comunicazione e il dialogo negli incontri internazionali, lo scambio e la circolazione di idee e di proposte per la crescita comune di tutte le Sorelle.
      Linee di azione:
  1.  Imparare la lingua italiana sin dall’entrata nella Congregazione.
  2.  Prevedere nei capitoli generali la traduzione simultanea, in caso di difficoltà.
  3.  Presentare al capitolo generale tutte le relazioni in lingua italiana.
 
  1. Formazione permanente
Decisione 8: Nominare una Consigliera provinciale responsabili della “formazione permanente” delle Sorelle che in sintonia con l’Equipe della formazione permanente della congregazione accompagna i percorsi d’animazione comunitaria e promuove una qualità delle relazioni nella vita fraterna.
Decisione 9: Realizzare l’accompagnamento, il più possibile personalizzato di tutte le sorelle nelle varie fasi della vita e porre particolare attenzione, ai momenti di difficoltà e di crisi sostenendo e aiutando le singole sorelle, in modo da consolidare e rafforzare la motivazione iniziale della scelta fatta.
      Linee di azione:
  1. Ribadire la validità dell’autoformazione, qualificando la preghiera personale, l’approfondimento del carisma della misericordia e l’aggiornamento professionale
  2. Proseguire nel privilegiare occasioni di “formazione permanente” in sintonia con il “Progetto di Congregazione”, offrendo “laboratori operativi” e percorsi creativi e coinvolgenti, soprattutto sui temi dell’amore e della misericordia.
  3. Organizzare corsi di “formazione umana” per creare comunità più flessibili, aperte, non giudicanti e misericordiose, capaci di accettazione di sé e delle Sorelle con l’aiuto di esperti adeguati.
  4. Progettare la formazione permanente in modo sistematico per favorire la crescita e la maturazione umana di ciascuna.
 
 
 
DOMANDE PER LA RIFLESSIONE SULLA PASTORALE VOCAZIONALE
 
 
  • Siamo chiamate a creare cultura vocazionale. Che cosa significa questo per noi e in che modo la creiamo? Quali sarebbero i nuovi modi di avvicinarci ai giovani?
 
  • Siamo una Congregazione “in uscita”. Come vivere questa realtà? Come cambiare una struttura mentale che è superata e fa parte del passato? Che cosa proponete?
 
  • Alla luce dei testi del Magistero della Chiesa che abbiamo visto, cosa dobbiamo fare perché la nostra formazione, iniziale e permanente, sia integrale, cioè, che permetta alle sorelle di crescere umana e spiritualmente, in modo tale di favorire una maturazione nell’identità vocazionale?
 
  • C’è nel nostro Istituto una “cultura della formazione permanente”? Come facciamo per capire (indicatori) se la formazione permanente realmente funziona nelle nostre Provincie? Cosa possiamo fare per migliorare?
 
 
 
 
 

 
[1] Gaudium et spes 1
[2] A. Spadaro, Sette pilastri dell’educazione secondo J. M. Bergoglio, in La civiltà cattolica, 4037 (2018) p. 343-357
[3] ELIANA ZANOLETTI, Generazioni fragili, un apporto educativo, Esperienza e teologia (23)2007
[4] BUZZI, C.CAVALLI, A.-DE LILLO, Giovani del nuovo secolo, Il Mulino, 2002
[5] Usp. MANDARIĆ,V., Profil mladih danas, u Kateheza 21(1999), br.1,36
[6] LATELLA ANTONI, La fragilità del giovane di oggi, adulto di domani, Convegno a cura del Comitato di Garanzia dell'Azienda Ospedaliera, marzo 2018, Pesaro
[7] AMEDEO CENCINI, Abbracciare il futuro con speranza, 2019
[8] MARIJA DI GESU CROCIFFISSO PETKOVIĆ, Insegnamenti, 01/11/1942
[9] PAPA BENEDETTO XVI, 29. settembre 2005
[10] GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica Vita consecrata, Roma,1996, n.63
[11] MARIJA DI GESU CROCIFFISSO PETKOVIĆ, Insegnamenti, 23/01/1938
[12]  Messaggio del santo padre Francesco ai partecipanti al convegno internazionale sul tema:
«pastorale vocazionale e vita consacrata. Orizzonti e speranze» Roma, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, 1° - 3 dicembre 2017
[13] MARIJA DI GESU CROCIFFISSO PETKOVIĆ, Insegnamenti, 12/94/1959
[14] MARIJA DI GESU CROCIFFISSO PETKOVIĆ, Insegnamenti, 28/2/1941
[15] Per vino nuovo, otri nuovi 12, 35
[16] Vita consecrata 66
[17] Per vino nuovo, otri nuovi 16
[18] Evangelii gaudium 235
[19] Fratelli tutti 215
[20] Ripartire da Cristo 18
[21] Fratelli tutti 198
[22] Ibidem 105
[23] Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Il dono della fedeltà e la gioia della perseveranza 18
[24] Fratelli tutti 33,43
[25] Per vino nuovo, otri nuovi 16
[26] MARIJA DI GESU CROCIFFISSO PETKOVIĆ, Insegnamenti, Argentina 02/05/1943
[27] Per vino nuovo, otri nuovi 35
[28] cf. Vita consecrata 66


Comparte este artículo


Escriba un Comentario


lasciare vuoto:



Más Noticias